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Cade il dogma genetico della predominanza del DNA

Di recente un’attrice di fama internazionale si è sottoposta all’ asportazione del seno per la paura di aver ereditato il rischio di sviluppare il cancro della mammella, dato che la mamma e altre familiari prossime lo avevano già avuto fino a morirne. La mappatura genomica del suo DNA, dimostrando la mutazione del gene ritenuta responsabile della possibilità di contrarre in futuro la patologia, avvalorava i suoi timori e la convinceva a procedere all’ amputazione e a ricorrere alla protesi sostitutiva. Riflettendo sulla vicenda sorgono diverse domande. La predisposizione genetica a contrarre una malattia vale tanto da giustificare, nel caso dimostri la probabilità di sviluppare malattia, l’asportazione chirurgica di organi sani? Le malattie fanno parte del destino ereditato che ci appartiene, o sono il frutto delle esperienze e delle relazioni che stabiliamo nel corso della vita? In conclusione la malattia è più determinata dalla genetica che ci ha formato o dall’ambiente in cui viviamo? E può l’ambiente modificare la genetica o quanto meno ridurne la forza con cui si manifesta? Per rispondere dobbiamo comprendere la genetica, e come governa e si manifesta nella biologia cellulare. Il nucleo cellulare, con la sua mappa genetica iscritta nei cromosomi, è l’ archivio, la scrittura biochimica delle esperienze evolutive utili alla sopravvivenza della nostra specie. Le informazioni contenute così in memoria fanno da copia, da guida perché si riproducano al bisogno le strutture e gli organi necessari alla vita della cellula, e rimangano come patrimonio a disposizione per le future generazioni. Dunque il nostro archivio genetico fa da copia e replica il passato, offre una serie di opportunità, ma non è esso a scegliere e determinare il nostro futuro! Non è il nucleo che attiva le appropriate risposte comportamentali della cellula per assicurarne la sopravvivenza e lo sviluppo necessari all’occupazione del territorio e alla riproduzione. Il vero cervello della cellula è la membrana che esplora l’ambiente, riceve, seleziona e blocca o facilita i segnali che provengono dall’esterno. La membrana consente alla cellula il movimento, la comunicazione, le relazioni e la sopravvivenza indirizzandone in modo intelligente l’adattamento ai continui cambiamenti. Lo studio dei meccanismi biologici con i quali l’ambiente controlla l’attività dei geni è la materia di studio e di applicazione dell’epigenetica. Se gli stimoli ambientali costituiti da nutrienti, ormoni, frequenze elettromagnetiche sono positivi, le proteine che rivestono il DNA del nucleo si allontanano e scoprono, attivandolo, il tratto genetico che dirige la sintesi proteica necessaria alla crescita e alla riproduzione. Quindi i geni non possono accendersi o spegnersi da sé, deve essere qualcosa nell’ambiente che innesca l’attività, e questo vuol dire che la genetica può essere modificata dall’esperienza di vita tanto in senso positivo quanto in negativo. E’ l’ambiente esterno, costituito dal nutrimento, lo stress e le emozioni, quanto l’ambiente interno rappresentato dai nostri pensieri, sogni, parole, desideri e azioni, che ci trasformano così da determinare la diversa manifestazione della programmazione genetica e genealogica. A differenza della cellula la cui consapevolezza è di tipo riflesso, grazie alla nostra meravigliosa mente umana, noi possiamo responsabilmente scegliere l’ambiente in cui vivere, percepirlo e modificarlo, diventando non vittime ma co-creatori, artefici del nostro destino. E queste modifiche, come ha scoperto la medicina epigenetica, possono essere trasmesse alle generazioni future come fa la cellula immunitaria immatura quando incontra un antigene, ad esempio un virus. Inizia a formare un anticorpo specifico creando un nuovo gene che servirà da stampo per la sintesi proteica, e che poi tramanderà come nuovo patrimonio alle cellule figlie. Viene a cadere il dogma biologico della centralità del DNA nel controllare la vita, nel determinare la manifestazione dei caratteri fisici, delle emozioni e dei comportamenti, della nostra salute: crolla il determinismo genetico come condizionamento assoluto e diventiamo noi responsabili del nostro destino e delle scelte che compiamo. I geni sono da considerare fornitori di opportunità piuttosto che distributori di ordini. D’altronde è logico che i geni non possano programmare in modo definitivo una cellula o la vita di un organismo, perché la sopravvivenza e l’evoluzione dipendono dalla capacità di adattarsi dinamicamente ai continui cambiamenti ambientali, e passare poi le soluzioni migliori alle successive generazioni. Per questo la storia contiene possibilità inedite. La forza creatrice della vita opera sempre. Quanto vale allora la predisposizione genetica a contrarre una malattia? Ben poco, perché il sogno della genetica di spiegare e risolvere ogni malattia o quantomeno prevederle prima che compaiano non tiene conto dei cambiamenti evolutivi. La medicina oncologica dopo tanti anni di studio, e l’impiego di un enorme quantità di risorse economiche e umane non riesce a proporre altra soluzione che togliere il pezzo che viene considerato inutile, dovendoci accontentare di un aumento della capacità di prevedere senza comprendere meglio perché succede. E inoltre considerare inutile il seno, anche se appartiene ad una donna in menopausa, è un errore biologico. La donna possiede per Natura, e mantiene per tutta la vita, il bisogno istintuale dell’accudimento e deve poterlo manifestare in ogni occasione della vita, offrendo ciò che più ha di nutriente, il latte materno quando un suo figlio è in pericolo, o il suo partner è in fin di vita per una malattia. Mancandole il seno, subirà un grosso conflitto di svalutazione di sé per non poter alimentare e sostenere chi ha bisogno del suo aiuto. La svalutazione che ne conseguirà può portare allo sviluppo di una malattia del midollo osseo: la sua struttura scheletrica non è riuscita a sostenere il carico di quella responsabilità familiare e a proteggere il sangue del suo sangue. E’ molto probabile che si svilupperà una patologia di compenso a carico del midollo osseo emopoietico. Se noi ripetiamo il passato, se vogliamo restare sempre gli stessi e non cambiamo mai, non facciamo altro che rinchiuderci in una gabbia, in un destino già determinato, che ci impedisce la novità di vita, lo sviluppo di capacità inedite. E’ un fatalismo arido, sterile e malato. La conclusione è che il passato offre solo opportunità, positive o negative che siano, ma è comunque come viviamo il presente nell’ambito fisico, psichico e spirituale che determinerà il nostro futuro.

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